Echi e ricordi di don Antonio Spalatro

TESTIMONIANZA DI BARTOLO BALDI

Don Antonio morì quando io avevo appena un anno, per questo motivo non ho ricordi diretti di lui. Ma sicuramente faccio parte della schiera dei fortunati che ha avuto un qualche contatto con il giovane sacerdote per essere stato battezzato da lui a pochi giorni dalla mia nascita. Sono dunque vissuto nella scia del profumo della sua santità di cui si è sempre parlato. Mia madre e mio padre, che lo avevano praticato in diverse occasioni, memori delle fresche opere lasciate da don Antonio, che era anche il nostro parroco, ci parlavano spesso di lui, di quello che aveva fatto e di quello che aveva detto.

Cresciuti sotto la sua ombra, io e mio fratello Tonino frequentammo la stessa chiesa parrocchiale dove lui ha officiato – la parrocchia del SS.Sacramento – che non abbiamo mai lasciato se non nel tempo degli studi fuori Vieste o per qualche recente periodo. Abbiamo sempre ascoltato con meraviglia i racconti che ci narravano le catechiste e il parroco don Matteo Mancini, suo diretto successore. Loro esaltavano le opere di don Antonio in chiesa e nei quartieri affidati alla sua cura. Don Antonio era il prete dei semplici, dei poveri, della gente che si cibava solo di umiltà e di elemosina. Tempi amari dovuti al periodo post bellico che aveva portato anche la nostra città alla miseria per mancanza di tutto.

Il suo ricordo era cosi vivo e vivace che nella mia tenera età infantile mi sembrava di vederlo seduto alla sua scrivania tutte le volte che entravo in sacrestia, ma i dubbi che  lo vedessi davvero non mi hanno mai abbandonato.

Cresciuto e giunto all’età della scuola elementare, don Matteo ci invitò a servire la messa. Un grande onore per noi e mia madre non disdegnò affatto questo invito. Con i miei amici avemmo la possibilità  – o la fortuna – di diventare chierichetti, e nulla ci rendeva più orgogliosi del poter indossare gli abiti da chierichetto fatti confezionare da don Antonio: una talare bianca con cotta bianca. Però a me piaceva molto l’abito dei Pueri cantores fatto da una tunica bianca, cinta ai fianchi da un elastico invisibile, con una specie di mantellina bianca e un crocifisso marrone appeso al collo. Non era proprio l’abito per servire messa, ma don Matteo mi accontentò, derogando alle sue disposizioni.

Siamo cresciuti diventando giovincelli, sempre presenti nella chiesa che per noi era di don Antonio e di don Matteo. Non abbiamo conosciuto così da vicino altri preti. Poi, poco prima di disporci ai segreti futuri della nostra vita, organizzammo noi per primi le celebrazioni in occasione del ventennio dalla morte di don Antonio, che ufficialmente decretavano ai viestani la santità di questo prete. Don Giorgio Trotta fece il resto, pubblicando il primo quaderno riguardante il diario spirituale. Fu questa l’occasione che ci votò per sempre alla sua filiale devozione e mai poi smettemmo di parlare di lui.

Bartolo Baldi

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