Don Antonio Spalatro - Vieste - sfondi

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Don Antonio Spalatro - scritti

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Quaderno di omelie

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ALTRI SCRITTI DI DON ANTONIO SPALATRO

Don Antonio scriveva molto e appuntava tutto ciò che gli accadeva o che faceva. Come testimonia egli stesso, era forte il bisogno di scrivere in quanto la scrittura rappresentava per lui un importante momento di raccoglimento, di riflessione, di analisi interiore. “Sento il bisogno di scrivere qualcosa, perché sembra che così ci sia una sosta in questa ridda di esteriorità in cui vive la mia vita. Così vorrei ad un certo momento concentrarmi, sentirmi più raccolto, più interiore… più ordinato!…” (Diario, 15 marzo 1951).

 

L’unico scritto di don Antonio oggi pubblicato è il suo Diario. Oltre ad esso si conserva una serie di manoscritti inediti:

 

  • Tre quaderni di esercizi spirituali che ricoprono un arco di tempo che va dal 1943 al 1949. Si tratta di quaderni di spunti e riflessioni tratti dagli esercizi e ritiri spirituali svolti durante gli anni di formazione presso il Seminario di Benevento. I tre quaderni costituiscono, sul piano cronologico, i primi scritti di don Antonio in nostro possesso e palesano una profonda ricchezza spirituale, sorprendente per un ragazzo di quell’età, dal quale già traspare un così forte desiderio di salire spiritualmente. Nei quaderni si leggono le riflessioni che egli elaborava a partire dalle meditazioni offerte dai vari predicatori. Talvolta vi emergono anche frammenti della vita del seminario che raccontano episodi concreti: qualche rimprovero del Rettore, alcuni consigli del Padre Spirituale, qualche rapporto difficile con i compagni.

 

  • Un quarto quaderno, che va dal 18 ottobre 1949 al 3 settembre 1951, che riporta le meditazioni, i ritiri mensili e gli esercizi spirituali del giovane sacerdote prima e giovane parroco poi. Esso risulta meno curato e articolato rispetto ai precedenti, ma in compenso più essenziale e più vivo, e lascia ben palesare l’ansia di fare e di agire, ma anche le paure, le lamentele, le frustrazioni di un giovane prete che vorrebbe essere compreso e che vorrebbe concretizzare il suo amore per i fratelli in una realtà fortemente piagata dalle conseguenze belliche e che, invece, viene lasciato inoperoso nel suo isolato paese senza un ufficio stabile.

 

  • Vari quaderni di appunti scolastici risalenti agli anni intensi della formazione del corso teologico. Essi lasciano intravedere, del giovane Antonio, i segni di una intelligenza viva, creativa, sostenuta da uno studio sistematico e ordinato, mai affrontato superficialmente, ma sempre approfondito. Don Antonio scriveva: “Quando l’apatia dello studio mi prende, penso alle anime che mi dicono: studia, perché noi siamo bisognose di scienza.”

 

  • Quattro quaderni di omelie tenute dal 1949 al 1954. Oltre alle omelie vere e proprie i quaderni contengono anche tanto altro materiale: testi delle meditazioni predicate per corsi di esercizi o ritiri spirituali, per tridui o giornate particolari (giornate missionarie o dell’infanzia, anno santo), per incontri di catechesi su Gesù Cristo, la Passione, la Chiesa, la Messa, i Misteri del Rosario.

 

  • Un quaderno di appunti in cui don Antonio registrò una serie di iniziative pratiche, di canti, di giochi, di scherzi, di aneddoti e pensieri da utilizzare con mamme e bambini della parrocchia, ma anche a operai e membri delle associazioni.

 

Le lettere che rivelano la sua grande ricchezza umana e i suoi solidi sentimenti di fede. Innanzitutto lo scambio epistolare con il suo Direttore spirituale don Daniele Ferrari, poi le lettere dall’ospedale all’amico fraterno don Mario dell’Erba e le due lettere indirizzate ad alcune catechiste e collaboratrici della parrocchia durante il suo peregrinare tra vari ospedali negli ultimi mesi della sua vita. Da queste ultime appare chiaramente la sua sofferenza causata non tanto dalla malattia fisica, bensì dalla solitudine e dall’essere inoperoso. Lui, sempre impegnato nella sua attività parrocchiale e sempre circondato da bambini, giovani, collaboratori e collaboratrici della parrocchia, ora avvertiva un grande senso di angoscia per il fatto di essere solo e inattivo. Scriveva: “Desidero tanto tornare in mezzo ai miei parrocchiani di cui ho constatato il bene sincero durante questa mia malattia. Nei momenti di solitudine, tanto lunghi a passare, penso sempre alla mia parrocchia. Possibile che la si possa amare dopo che mi ha procurato tanti seri guai? Eppure le voglio più bene di prima, e mi dispiacerebbe tanto se un intervento chirurgico mi mettesse nelle condizioni di non poter più lavorare come prima. Comunque lasciamo fare a Dio. Pregate tanto per me.” Nonostante la consapevolezza che la sua malattia era stata fortemente aggravata anche per l’eccessivo lavoro manuale che egli prestò per la costruzione dell’oratorio e per i restauri della chiesa parrocchiale, don Antonio continuava a pensare  e ad amare la sua parrocchia, desiderando ardentemente di tornarvi.