Don Antonio Spalatro - sfondi

Gita sulla spiaggia della Scialara

Don Antonio Spalatro - gallery

Testimonianza del signor Michele Del Giudice, fanciullo e assiduo frequentatore della parrocchia del SS.Sacramento ai tempi di don Antonio

Tra i ricordi più vivi che ho di questo giovane prete, passato come un ciclone per la sua frenetica attività pastorale, balzano vivi nella mia memoria alcuni episodi indimenticabili della mia fanciullezza. Un primo ricordo è legato alla mia crescita formativa, in quanto, dopo la scuola, il punto di riferimento non era tanto la casa quanto la parrocchia del SS.Sacramento. Tanto grandi erano il mio desiderio e la mia passione e tanto forte il legame con don Antonio, che all’uscita di scuola, prima di andare a casa, passavo per la parrocchia per apprendere da lui i primi rudimenti di musica sull’armonium. 

 

Un altro ricordo è legato all’avvenimento tragico del crollo del palazzo dove era ubicato un forno. Stavamo giocando al fazzoletto, un gioco in voga a quei tempi. Mentre don Antonio animava tra noi ragazzi questo gioco, avvertimmo un forte boato, accompagnato da una nube di polvere che saliva al cielo dal quartiere denominato “sop la torr”. Il tonfo, la polvere e il correre di don Antonio furono tutt’uno, tanto da arrivare in tempo per estrarre dalle macerie alcune persone ancora vive. 

 

La mente, tuttavia, ritorna con ammirazione quando al momento del pranzo sentivo salire gli alti gradini della scalinata di casa, il fruscio svolazzante della tunica, la sua voce familiare e poi in casa ansimante dove supplicava mia madre, collaboratrice e presidente di Azione Cattolica femminile, di prelevare qualcosa dal pranzo preparato per portarlo a qualche povero. Di fronte alle insistenze di mia madre che gli raccomandava di salvaguardarsi e di andare a mangiare, la sua risposta era di far presto e non badare a lui.

 

Terminata la scuola media, andai in Collegio a Fermo, e anche lì mi ha seguito la sua premura, tanto da scrivermi delle lettere. Tornato in vacanza, seppi che era a letto moribondo. Avevo saputo da mia madre che mi cercava, tuttavia non avevo il coraggio di incontrarlo in quella situazione. Nella mente mi riappare il via vai di gente e la diceria della sua fine imminente. All’età di quindici o sedici anni, non avevo nessuna voglia di imbattermi con un morente, tuttavia di fronte all’insistenza di mia madre e alla chiamata specifica di don Mario Dell’Erba, che mi comunicava il desiderio di don Antonio e mi spingeva ad incontrarlo, mi feci coraggio e andai a visitarlo. Al mio arrivo, proprio perché ero richiesto, i circostanti mi fecero largo e uscirono, lasciandoci soli. Rimasi frastornato davanti al suo lettino e timidamente mi avvicinai per baciargli la mano, ma egli in un impeto di affetto mi attirò a sé, stringendomi al petto con una forza indescrivibile per il suo stato di salute. Di fronte a tanto slancio e alla sua visione cadaverica, scoppiai in un pianto di commozione. E qui nasce il prodigio, perché fu lui che mi consolava dicendo: “Perché piangi?” Accompagnò queste parole con un sorriso a pieni denti; quel sorriso spiccava ancor più, perché nasceva da un uomo consumato dalla malattia, dal dolore, e da un volto divenuto quasi teschio. Nell’andarmene, l’impressione che mi lasciò non fu più di paura, ma di incoraggiamento sorridente, tanto da non far trapelare lo sconforto e la paura della morte. Quel sorriso così splendido ora mi accompagna sempre. Sono uscito piangente, ma il suo sguardo era felice. Dopo un’oretta, seppi che era morto.