Col vescovo alla processione di S.Maria di Merino
I bambini hanno una presenza costante nella vita di don Antonio. Prima di tutto perché egli si riteneva un bambino. Il bambino è per natura semplice, ingenuo, non ha malizia, ma è cattivo, capriccioso nei comportamenti.
Scrive il suo Padre spirituale ”Superiori e compagni, con innocente crudeltà, lo chiamavano bambino, provocando in lui stupore e amarezza. Ma bambino non era, se non per un’invidiabile assenza dei due stimoli che solitamente fungono da segno di maturità: la scaltrezza e la voglia di comparire”. (Lettera testimonianza del Padre spirituale, 8 marzo 1989).
I bambini attiravano moltissime attenzioni del giovane sacerdote. Per i bambini si spendeva generosamente. La lettura dell’ultima parte del diario e della cronistoria della parrocchia testimoniano questa sua scelta.
Appena giunto in parrocchia, il suo primo pensiero fu organizzare i bambini di Azione Cattolica in gruppi, poi dividerli in classi catechistiche, trovare per loro spazi ricreativi, formare il gruppo dei chierichetti e dei cantori per il servizio della liturgia. Trasformò il piazzale della parrocchia in campetto di pallone e luogo di giochi per i bambini. I bambini erano chiamati ad animare i momenti di gioia e di allegria della comunità. Per i bambini si creavano momenti di distensione, gite, scampagnate, passeggiate, durante le quali il giovane prete diventava animatore di giochi.
Per quanto era possibile in parrocchia si aiutavano i bambini in difficoltà scolastica, organizzando per loro il doposcuola. Le feste più riuscite nella parrocchia erano quelle che avevano per protagonisti i bambini: la Festa della Santa Infanzia, la Prima Comunione.
I giovani erano gli amici più stretti di don Antonio, ma anche quelli che gli procuravano molte preoccupazioni. Li ha frequentati fin da seminarista quando con loro, nel periodo delle vacanze, trascorreva la maggior parte del tempo nell’Associazione di S.Marco, istituita e seguita da don Luigi Fasanella, suo padrino di cresima.
Spesso un rapporto educativo si trasformava in amicizia. Questo gli consentiva di seguire i giovani da vicino e in modo personale.
Con l’impegno della parrocchia assunse anche quello di formare i giovani e le giovani che cercò come primi alleati chiamandoli a una collaborazione strettissima non solo per la formazione personale, ma per essere forza attiva nella costruzione della realtà parrocchiale. A loro dedicò le sue risorse più vive, condividendo con loro gran parte del suo tempo, e per loro creò la missione dei giovani che ebbe un larghissimo successo.
Memorabili rimasero le gite, le scampagnate, bellissime esperienze vissute tra giochi e riflessioni. Non solo divertimento, ma occasione di formazione.
Don Antonio aveva un sacrosanto rispetto per le donne sia come uomo che come prete. Nella sua mente la donna assumeva i contorni della mamma che amava di amore tenero, anche se a volte questo rispetto si esprimeva in modo contrastato. Causa del frequente litigare con la mamma erano le lamentele che essa gli presentava circa la povertà con la quale la famiglia si doveva ogni giorno misurare. La mamma gli chiedeva una giusta partecipazione al menage familiare come membro della famiglia. Lui non le nascondeva la scelta radicale dei poveri: era prete e questo giustificava la sua scelta perché il prete è per gli altri. Agli altri portava il sollievo della sua carità in modo totale. I poveri erano più poveri di loro, della sua famiglia. Bisognava aiutarli!
Aveva in casa un’altra donna, che venerava e ne era venerato, la sorella maggiore. Le era stata madre nella fanciullezza. In essa vedeva l’amore personificato.
Verso le altre donne aveva un atteggiamento di massimo rispetto, ma mai di confidenza, e lui aveva imparato a tenerle a debita distanza e a non sconfinare mai nel banale o, peggio, nel leggero. L’atteggiamento severo che aveva con loro era dettato solo da una sola preoccupazione: proteggere e custodire la virtù della purezza. Questo modo di comportarsi lo portò nella sua vita sacerdotale. Mai da solo con le donne. In sacrestia le donne dovevano essere almeno in due, anche alla confessione arrivavano in coppia e una rimaneva tra i banchi.
Don Antonio non era un misogino. La sua missione fu sostenuta dal prezioso contributo delle donne nell’evangelizzazione e nella vita parrocchiale. Con loro però aveva un rapporto prudenziale. Aveva nella Madonna un esemplare di donna che ha amato più della sua vita e imitata nelle sue virtù. La invocava con il nome di mamma in ogni circostanza. Era l’immagine che nutriva verso le donne: virtuosa, casta, umile, amabile.
Don Antonio ha avuto sempre verso i confratelli un rapporto ammirevole, fraterno. E suoi confratelli ricambiavano con sincera amicizia e stima. Era attento a non toccare la sensibilità di alcuno e, se gli capitava di andare in diversità di vedute, se ne faceva un dramma e faceva di tutto per riagganciare al più presto i rapporti.
I sacerdoti con cui ha avuto a che fare sono stati tanti. A tutti ha regalato stima, amore e simpatia.
Fra tutti, il più prossimo a lui fu don Salvatore Latorre. Di lui ha detto e scritto molto.
Anche don Mario dell’Erba parla di lui con ammirata stima. Lo considerava un santo, come santo lo ricorda ancora tutto il popolo di Vieste. Don Antonio ebbe con lui un grande rapporto e ha avuto una grande incidenza nella sua formazione cristiana.
Don Salvatore Latorre fu colui che, intervendo in prima persona, portò in Seminario don Antonio. Lo possiamo considerare il padre della sua vocazione sacerdotale. Lo aiutò anche economicamente, ma non lo vide sacerdote morendo anch’egli giovanissimo, a soli 33 anni.
Il sacerdote con cui condivise tempo, amicizia, stima e simpatia fu don Luigi Fasanella. Fu suo confessore e padrino di cresima. Fu vicino a lui come guida dei giovani. Don Luigi ricambiò tanto affetto facendosi presente nella sua vita nei momenti del bisogno. Lo aiutava nella parrocchia all’occasione.
Don Luigi Ruggieri fu il suo parroco in Cattedrale. Era un tipo burbero, che don Antonio soffrì in alcune circostanze, ma mai trascurò e si mostrò a lui ostile o critico nei suoi confronti. Spesso lo riprendeva paternamente per la sue mupie, cioè per le sue stranezze, pazzie. Pianse sulla sua salma. Lo amava come un figlio.
Il sacerdote con cui ebbe relazioni più strette fu don Domenico Desimio. Era il parroco titolare della parrocchia del SS. Sacramento, quando don Antonio fungeva da vicario-economo. Ebbe modo di confrontarsi con lui su alcune scelte pastorali. Non ci sono giunte notizie di dissapori tra i due. Qualche diversità di vedute, ma sempre nell’amore, nella carità evangelica e nel rispetto dei ruoli.
Fra i sacerdoti, il suo vero amico fu don Mario dell’Erba. Con lui si confidava, a lui affidava la sua anima. E don Mario lo ha guidato da fratello maggiore. Era di 7 anni più grande di lui. Don Mario fu testimone degli ultimi momenti di vita del Servo di Dio. Celebrò il 15 agosto 1954 l’Eucaristia in casa di don Antonio, essendo lui gravemente malato. Era l’anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Morì tra le sue braccia il 27 agosto, recitando le Litanie della Madonna a conclusione del Rosario.