Impianto della croce
a Caprarizza
Don Antonio fu ordinato sacerdote il 15 agosto 1949. Il diario trabocca di gioia ed esultanza per la circostanza. Finalmente corona il sogno della sua vita, sogno che gli è costato grandi sacrifici, immenso amore. Incomincia la vita nuova, tutta dedita alla salvezza delle anime che il Signore gli affida. “Sono prete. Gesù fate che la mia ordinazione sacerdotale non la dimentichi mai. Ho chiesto a Gesù nella mia Prima Messa concelebrata col mio Vescovo, che mi dia la retta intenzione nella mia vita sacerdotale. Non so, ho sentito di essere un altro. Essere sacerdote significa essere l’interesse di tante anime che hanno tutti i diritti su di noi. E quindi hanno guardato al sacerdote oggi! Ho sentito che debbo essere santo, perché lo vogliono loro, le anime. Ho sentito questa personalità nuova in me, questa responsabilità delle anime, di tante tante anime, anzi di tutte le anime create, perché di esse deve sentirsi responsabile il sacerdote per tenere in sé l’ansia della perfezione, della santità.”
Per un anno e qualche mese dal momento dell’ordinazione egli non riceverà nessun incarico specifico come sacerdote. Dovrà accontentarsi di aiutare qualche confratello anziano o malato e qualche sporadica esperienza fuori Vieste. In questo lungo tirocinio, animato dalla sua creatività e dal suo dinamismo interiore, fu collaboratore nell’Associazione Cattolica tenuta da don Luigi Fasanella, suo padrino di cresima, nei locali di S. Marco a favore dei giovani.
Il giovane don Antonio visse questo lungo periodo di attesa con sofferenza. Pur sentendo dentro di sè una grande volontà di offrirsi agli altri e di operare bene, aveva l’impressione che nessuno volesse approfittare del suo “dono”. Furono momenti molto difficili della sua vita in cui conobbe lo scoramento, l’abbandono, per la mancanza di un incarico specifico.
Nei primi anni del secondo dopoguerra, Vieste visse un periodo di estrema miseria, situazione che accendeva ancor più in lui il desiderio di agire, di mettersi all’opera per offrire sostegno alla sua gente provata da tanta povertà materiale e spirituale. L’ansia delle anime lo tormentava ed era impaziente di iniziare il suo ministero parrocchiale. Tuttavia, anche se il suo sogno era la parrocchia, non rimase inoperoso. La sua creatività e il suo eccezionale dinamismo lo portarono a organizzare esperienze rimaste memorabili come l’impianto della croce a Caprarizza, una collina 10 km a nord del paese nei pressi del santuario di S.Maria di Merino. Il 25 agosto 1950, ottenuta l’autorizzazione della Curia, don Antonio coinvolse un’ottantina di operai nella Via Crucis portando egli stesso la pesante croce di legno sull’impervia salita fino alla cima della collina dove fu celebrata la messa. La croce era stata costruita dagli stessi operai, poveri disoccupati impegnati dallo Stato in lavori socialmente utili, uomini e ragazzi perlopiù comunisti e ostili alla Chiesa, che don Antonio sapeva avvicinare a sè con dolcezza e parole di conforto. L’episodio, riportato da documenti religiosi e civili, suscitò grande clamore in paese e la croce originaria, rimasta in piedi sessant’anni e ormai consunta dal tempo, è stata rimpiazzata il 6 aprile 2014 con una nuova croce.
Circa un mese dopo, a don Antonio toccò sostituire il parroco assente a Peschici per una settimana. Fece inoltre una breve esperienza pastorale anche a Carpino dove rimase 20 giorni, dal 3 al 23 settembre 1950, su una sede vacante. Del suo apostolato a Carpino rimane memoria nei registri parrocchiali, ma soprattutto nel ricordo della gente di quel pretino gracile ma di grande virtù. Su quell’esperienza don Antonio scrive nel suo Diario “Venti giorni di esercizio di ministero a Carpino. Quante cose vorrei dire. Fisso sulla carta solo quell’ordine di idee che mi ha colpito ieri sera mentre tornavo a Vieste. Il sacerdote, se non si adegua fortemente e violentemente alla sua missione giorno per giorno, perde molto. Proprio egli corre pericolo di illudersi, di adagiarsi, di lasciarsi superare. L’apostolato, quando è tale, non posa; il suo amore verso coloro che non sanno, non credono, non amano, gli suggerisce ogni mezzo ed espediente per operare a loro favore. Sì, è bello star fuori dal paese natio, liberi dalla famiglia, lontani da ogni vincolo naturalistico, col solo grande ideale nel cuore di far bene, bene sempre, a tutti. Ho pensato che il Signore mi farà questa grazia: perché qui a Vieste non posso fare come vorrei.”
Dall’1 al 3 ottobre dello stesso anno partecipò al pellegrinaggio a Roma per il Giubileo tornandone ricaricato e rinnovato interiormente. Nel suo diario, don Antonio racconta l’esperienza con parole di entusiasmo e stupore descrivendo ogni dettaglio del suo itinerario spirituale nella città santa e concludendo con appassionati propositi per il suo futuro ”Quante meraviglie! Quanta fede dovrebbe eccitare in noi. Sono venuto a Roma con il desiderio di lavorare, lavorare assai fino ad esaurirmi, per la Chiesa, per le anime, per Gesù! Forza: questo significa il mio ritorno!”.