Con bambini e catechiste
in parrocchia
Il 6 maggio 1948, prima di essere ammesso agli ordini sacri, don Antonio venne interrogato dal suo Rettore “Cosa farai domani? Cosa prevedi per il tuo sacerdozio?”. Gli rispose “Sogno un campanile, un oratorio”. L’episodio è riportato nelle pagine del diario dove il seminarista Antonio aggiunge “Volevo dire: Vorrei diventare un piccolo Curato d’Ars in miniatura, ma mi trattengo. La pretesa mi sembra un po’ spinta.” L’uno e l’altro sogno si realizzeranno. L’Oratorio sarà fatto. Essere un Curato d’Ars in miniatura sarà il tentativo pastorale e ascetico di tutta la sua breve vita sacerdotale.
La parrocchia del SS.Sacramento è nata dal nulla. È conosciuta come U’ cumment’ perché legata a uno storico convento che nasceva là nei secoli passati. Fu fondata nel 1634 come chiesetta del Convento dei Cappuccini con annesso convento dedicato a S.Maria di Costantinopoli. Il convento fu soppresso dai francesi nel 1811 e poi riaperto nel 1819 per essere poi definitivamente chiuso nel 1867 dopo l’unità d’Italia quando i locali furono confiscati dallo Stato e adibiti ad altri usi. Nel 1942 fu deciso di elevarla a parrocchia col nome di SS.Sacramento, la chiesetta fu ristrutturata e venne edificato qualche piccolo locale ad uso parrocchiale. Primo parroco fu don Domenico Desimio.
Il 26 novembre 1950 don Antonio è nominato sostituto parroco del SS. Sacramento in Vieste. Inizia finalmente la sua esperienza da parroco, anche se in effetti parroco non fu mai, ma solo svolgente le funzioni. Lo stesso giorno della nomina, con grande entusiasmo, scriveva nel diario “Da oggi il mio diario può portare questo titolo: Il diario di un parroco…”. Dopo il primo anno di reggenza, il 10 agosto 1951, giunse la notizia della nomina a vicario-economo.
La parrocchia del SS.Sacramento si estendeva su un quartiere abitato da famiglie di agricoltori, ortolani, pescatori, disoccupati, poveri. Mancava lo spirito di appartenenza che li isolava maggiormente. Non mancavano, tuttavia, le forze vive, le persone. Abitavano nel territorio della parrocchia famiglie numerosissime con problemi sociali, culturali, scolastici. Un sacerdote giovanissimo, santo, ricco di idee e di iniziative era necessario per imprimere a quella realtà sociale un nuovo impulso di vita. C’era bisogno di una mente e di un cuore che offrisse motivi di vita e di speranza, che desse un focolare a tutte le famiglie, che facesse della parrocchia il cuore del quartiere. Con la sua ansia apostolica don Antonio entrò in quella realtà con umiltà e fiducia in Dio e lavorò in modo instancabile e profondo. Trasformò il mondo precario di quel rione in una realtà viva. La mise in cammino. Tutta la comunità fu chiamata a dare la sua collaborazione e in men che si dica fu trasformata. La parrocchia cominciò a pullulare di iniziative non solo religiose che risollevarono le sue sorti.
Per don Antonio la parrocchia doveva garantire a tutti – bambini, giovani, adulti, famiglie, anziani, ammalati – la possibilità di fare l’esperienza di Dio nella fraternità di una vera e sola famiglia. Il novello parroco ha dovuto svolgere fin dal suo ingresso nella nuova realtà un’impressionante mole di lavoro. La sua attività pastorale assunse da subito un ritmo frenetico, ma sempre sostenuto da grande vita interiore e dunque senza mai abbandonare il suo impegno ascetico. Una serie innumerevole di iniziative spirituali mandarono un messaggio chiaro ai parrocchiani: Dio c’è e ti aspetta.
Particolare attenzione occuparono nelle attività pastorali gli operai del cantiere. Essi erano quelli che lo Stato favoriva affidando loro lavori e progetti socialmente utili. A Vieste c’erano tanti. Era il modo di creare lavoro e vincere la disoccupazione. Tra gli scritti di don Antonio si trovano appunti di diverse omelie e catechesi rivolte a loro: sono impegnative. Spezzava anche per loro il pane della parola e cercava il loro cuore per convertirlo a Dio. Questi operai erano prevalentemente comunisti. Don Antonio li ha dovuti sempre affrontare con umiltà e circospezione. A lui non interessava la loro militanza politica ma insegnare la pace, l’amore e la giustizia cristiana. Si recava nei luoghi di lavoro in bicicletta portando sempre un pensierino, frutta o dolci. Si guadagnava la loro fiducia.
La vita liturgica, catechistica, culturale e ricreativa della parrocchia ricevettero un nuovo impulso dalle Associazioni a cui il giovane sacerdote teneva in particolare. La parrocchia si riempì di persone, che ancor oggi ricordano quei momenti intensi di vita con commozione. Si costituì il gruppo delle catechiste, degli educatori e formatori a vari livelli, il gruppo dei chierichetti e cantori che diedero lustro e bellezza alla liturgia, il gruppo pastorale di carità, il gruppo teatrale che allietava i momenti importanti della comunità. Si lavorò per fornire alla parrocchia aule per la ricreazione e l’educazione, si attuarono interventi di restauro alla chiesa. La parrocchia si trasformò in una fucina, in un cantiere senza soste di cui don Antonio, purtroppo, non ebbe la fortuna di vedere ultimati i lavori.